Being White in Chongqing, China. Reportage [ITA]

Reportage published for the print magazine Linus in 2018


Bianchi a Chongqing

An investigation into the relationship between colonialist imagery, gender and racialised labour in 21st century China.

Un’indagine sul rapporto tra immaginario colonialista, genere e lavoro razzializzato nella Cina del XXI secolo.

Published on Linus (Print Edition) Pubblicato su Linus (versione cartacea)


Dopo anni di crescita a due cifre trainata da export, commesse statali e basso costo del lavoro, la Cina è entrata nel cosiddetto new normal. Il grande paese asiatico sta virando faticosamente verso un’economia dei servizi in grado di aumentare e sostenere la domanda interna dei consumi. Parte integrante di questo percorso è l’inclusione dell’ovest del paese nel perimetro dell’economia nazionale. L’apertura al capitale e alle multinazionali straniere, iniziata alla fine degli anni ’80, ha avvantaggiato soprattutto le zone sud-orientali della Cina. Ora Pechino punta a portare investimenti, infrastrutture e lavoro nelle gigantesche e misconosciute città occidentali.
Vetro, acciaio e terra nera. Chongqing, nel sud-ovest della Cina, è il più importante volano di questo sviluppo. Una megalopoli che sulla carta fa 30 milioni di abitanti, dove grattacieli e palazzi da trentatrè piani si estendono sulla linea dell’orizzonte senza soluzione di continuità. La città contemporanea, con le sue strade a quattro corsie, le sfarzose boutique e i centri commerciali, è arrivata troppo velocemente, ben prima della cultura urbana. Ancora oggi tanti abitanti, che fino a pochissimi anni fa vivevano in campagna, non perdono occasione per coltivare e mettere a frutto ogni pezzo di terra sopravvissuto alla speculazione edilizia.

Ambasciatori della modernità

Pechino e Shanghai sono mete predilette per gli stranieri di tutto il mondo, gli expat sono così presenti da essere diventati invisibili. Le città della costa orientale sono a tutti gli effetti hub del cosmopolitismo internazionale e molti giovani cinesi sono perfettamente a loro agio con la lingua inglese. Chongqing appartiene invece a un’altra Cina. I suoi grattacieli svettano alti e pomposi come quelli di Hong Kong, il PIL cittadino viaggia più spedito di quello nazionale e molte multinazionali hanno aperto una propria sede qui; ma nelle strade di questa enorme città si parla una variante locale del mandarino e resiste un forte provincialismo. Questa è una città fuori dal radar dei media internazionali, gli stranieri sono una sparuta minoranza e la popolazione locale stenta con le lingue straniere. I cinesi di Chongqing percepiscono lo straniero come un animale esotico. Se a Pechino nessuno farà caso alla qualità del vostro mandarino, qui saranno tutti pronti a riempirvi di complimenti anche se sapete dire solo «ciao», ovvero «ni hao». La maggioranza degli abitanti di Chongqing non ha mai visto dal vivo un uomo o una donna bianca, per cui è facile diventare oggetto dello sguardo di chi non riesce a fare a meno di sussurrare al proprio vicino: «ecco lì uno straniero!».
Do you speak English? Il processo di apertura della Cina post-Mao ha proiettato il paese al centro dell’economia globalizzata con importanti conseguenze sulla vita dei cittadini. Oggi la lingua inglese è diventata un requisito per ottenere una formazione di alto livello, raggiungere un traguardo professionale e viaggiare nel mondo. La domanda di accesso alla conoscenza dell’inglese sembra non avere fine. Le scuole di lingua sono un territorio selvaggio dove si prova costantemente ad aggirare la legge, molto rigida sui permessi di lavoro per stranieri. I compensi sono in nero, gli insegnanti non possiedono qualifica e non ricevono alcuna formazione; chi ne paga le conseguenze sono gli studenti e le loro famiglie pronte a sborsare laute somme di denaro per l’educazione.
Aprire una scuola d’inglese in Cina significa mettere su una macchina per stampare denaro: si parla di un mercato in piena espansione dove la domanda di lavoratori stranieri aumenta in modo esponenziale. E per diventare docente occorre una solo qualità: l’aspetto occidentale, possibilmente bianco-caucasico. Giovani uomini e donne provenienti da Europa e America possono ambire a una settimana lavorativa tra le quindici e le venti ore e un generoso stipendio. L’Occidente è in pieno panico terroristico, preda della xenofobia, dilaniato dalle diseguaglianze, con salari stagnanti e una disoccupazione giovanile montante, mentre la Cina si presenta oggi come una vera terra di generose possibilità per i figli di una borghesia in crisi epocale.

Sognare il sogno di una Cina moderna.

Ai nostri occhi disincantati il progetto che il presidente Xi Jinping ha ri-battezzato «China’s dream» potrebbe suonare ingenuo o semplicemente falso ma, al di là della propaganda, la realtà è che anche molti giovani occidentali hanno scommesso sulla Cina. Alessandro, che vive e lavora a Chongqing, non ha dubbi a riguardo: «A ventitré anni ho un lavoro ben pagato, un appartamento tutto mio e abbastanza denaro per spassarmela ogni sera». E soprattutto nessuna voglia di tornare in Italia.
Il lavoro è per tutti, o quasi. Esiste una netta divisione razziale del lavoro per gli stranieri: i posti migliori sono riservati ai madrelingua britannici, americani o canadesi; poi ci sono gli europei non madrelingua, cui conviene fingersi «veri bianchi», simulando un accento yankee. Infine ci sono gli africani. Esistono annunci di lavoro per insegnanti bianchi e altre offerte indirizzate a persone di colore che per la stessa mansione di insegnante guadagnano parecchio di meno.
Paul, americano del Texas, mi riassume la sua storia: «La mia esperienza in Cina è segnata da una forma di ‘razzismo positivo’: guadagno bene, bevo gratis nei locali, lavoro molto meno di un cinese o di quanto lavorano i miei amici in America». Le aziende cinesi confidano nell’importanza di donare al proprio brand un’aria d’internazionalità. La semplice presenza di un bianco occidentale garantisce la qualità del prodotto in vendita. Tempo fa, insieme a una folta rappresentanza di miei simili, sono stato reclutato per partecipare a una gara ciclistica in una località turistica nell’ovest della Cina. Al nostro arrivo abbiamo trovato ad aspettarci una folla di fotografi e operatori televisivi: in realtà non eravamo stati invitati a una competizione sportiva, dovevamo semplicemente diventare parte del progetto comunicativo dell’ente del turismo locale: eravamo lì per certificare l’autentica «internazionalità» di quel luogo, elevandolo a rinomata meta turistica per viaggiatori cinesi.


Il fardello dell’uomo bianco?

In Cina convivono matrimoni combinati e gruppi femministi radicali, app per incontri e norme sociali che prescrivono alle donne quando sposarsi e quanti figli avere. La faglia tra passato e futuro si estende lungo la direttrice che divide campagna e metropoli, provincia e città, laddove vivono anche gli stranieri.
Da secoli i maschi occidentali nutrono fantasie attorno al corpo delle orientali. La domanda che ci facciamo è sempre la stessa, maschilista e banale: «le donne cinesi sono facili?». Ancora oggi il lungo respiro del retaggio coloniale può far apparire la Cina come un territorio per facili conquiste.
L’anelito di modernità che l’immagine dell’Occidente porta con sé rende l’uomo bianco un simbolico latore di quei valori urbani cui aspira la nuova borghesia cinese. In una società in rapida trasformazione sono proprio le donne a essere le protagoniste più dinamiche dei cambiamenti in atto: dalla famiglia al lavoro, dalla politica al rapporto tra i sessi. Livia, studentessa di Legge all’università di Chongqing, mi ha aiutato a fare chiarezza sul rapporto tra donne cinesi e uomini stranieri: «Le donne cinesi cercano nuove possibilità. La tradizionale prospettiva di accoppiamento per loro è scontata e non sempre buona. Un uomo occidentale non è necessariamente meglio, ma almeno rappresenta qualcosa di nuovo». La donna cinese vive dilaniata tra il desiderio di emancipazione individuale e la persistenza di norme patriarcali, a partire dalla richiesta di adeguarsi a un modello di femminilità tradizionale, in cui diventare mogli e madri rappresenta ancora il traguardo più ambito.

Fin dagli albori della Cina maoista, la richiesta di manodopera ha reso necessario un vasto afflusso di donne nei campi e nelle fabbriche. La presenza delle donne nel mondo del lavoro è quindi un dato di fatto storico, anche se tutte le posizioni apicali sono tuttora ricoperte esclusivamente da uomini. Oggi un crescente numero di donne ha accesso all’indipendenza finanziaria e l’istituzione matrimoniale non svolge più la funzione di liberare il nucleo familiare d’origine dal «peso morto» delle figlie femmine. Molte donne scelgono di non sposarsi o aspettano di trovare l’uomo “giusto” di cui innamorarsi. Così, negli ultimi anni nei media cinesi è cominciata a circolare una definizione per tutte quelle donne che hanno superato i trent’anni senza essersi sposate: 剩女, shengnu, letteralmente «donne avanzate», un termine denigratorio. Questo stigma è la spia di una diffusa preoccupazione sociale per la libertà e l’indipendenza di quelle donne che hanno fatto scelte di vita non in linea con la tradizione. «C’è una porzione di donne cinesi insoddisfatta e allo stesso tempo curiosa e affascinata dalla cultura occidentale», sottolinea Livia. Sono quelle donne come lei, figlie della cultura urbana, laureate e a loro agio con le lingue straniere, che probabilmente scelgono di cercare un partner al di là dei propri confini etnici.
Alessandro, che fa l’insegnante d’inglese in una scuola privata di Chongqing, m’illustra lo scenario degli incontri virtuali in Cina: «con un semplice software chiamato VPN, è possibile accedere ai più noti siti americani di speed-dating, come Tinder o OkCupid». Qui si parla inglese e chi è alla ricerca di un partner conosce e naviga un ambiente internazionale. La versione cinese di Tinder si chiama TanTan ed è la più grande piattaforma per incontri in lingua cinese. Alessandro mi fa notare che conoscere il mandarino fa la differenza: lo straniero che parla la lingua locale rappresenta l’ibrido perfetto tra esotismo e familiarità. «Le donne cinesi apprezzano gli stranieri perché sono più intraprendenti degli uomini locali», aggiunge Alessandro, mentre chatta in cinese sul suo smartphone. La destinazione finale in cui si sviluppano le sue strategie seduttive è WeChat, un’app che riunisce al suo interno le funzioni di WhatsApp, Facebook, Paypal, ed è fornita di una propria applicazione per il dating online. Alessandro mi racconta con spavalderia di come non solo sia riuscito a incontrare una donna sposata, ma che questa gli abbia anche offerto del denaro pur di poter stabilire una relazione sentimentale. L’attrazione per lo straniero scavalca anche i pregiudizi razziali, chiosa Andy, studente del Madagascar che incontro in un centro commerciale di Chongqing: «Non è difficile entrare in contatto con una donna in un bar o in discoteca. La curiosità fa venire meno le barriere e i pregiudizi che noi africani scontiamo ogni giorno in Cina». Livia mi rammenta che ci sono anche donne non attratte dall’uomo straniero: «Il tipo nazionalista, devota verso la cultura e la tradizione cinese. E poi la cosmopolita disillusa, che dopo aver passato del tempo in America o in Europa, riconosce i difetti degli uomini occidentali».

Alcune delle donne che ho intervistato mi suggeriscono di leggere la contrapposizione tra sessi come un problema sistemico. La società cinese ospita enormi diseguaglianze economiche da cui discendono norme sociali altrettanto polarizzate. Lontano dai centri urbani una moralità rigidamente conservatrice s’impone ancora sulle nuove generazioni, costrette a negoziare nello spazio privato delle famiglie innovazioni spesso molto difficili da elaborare pubblicamente. In Cina, per esempio, è ancora complicatissimo dichiararsi omosessuale o affermare scelte di vita non convenzionali. Lynn ha appena compiuto trent’anni, è single e pur dicendomi senza remore -in inglese- che gli uomini cinesi sono «noiosi», ci tiene a chiarire il contesto: «La società cinese opprime gli uomini costringendoli a conformarsi a regole sociali da cui è difficile liberarsi. Un uomo è considerato il pilastro economico della famiglia e non può permettersi di fallire, anche nelle relazioni sentimentali. Perciò non coltiva alcun interesse al di fuori del lavoro e non sa come mostrare affetto: gli è stato solo insegnato ad arricchirsi e a diventare un uomo di successo». Sebbene il denaro, la sua ricerca e accumulazione, appaia come l’unico generatore di valori morali e scelte esistenziali, persiste un tenace e ostinato desiderio di relazioni autentiche e disinteressate, per fortuna. Molte ragazze cinesi stanno cercando una strada verso la propria libertà guardando ad Occidente mentre frotte di occidentali si affacciano sul continente asiatico alla disperata ricerca di quelle promesse tradite dal sistema socio-economico
capitalistico che ebbe il suo abbrivio proprio in Europa. Per milioni di giovani la Cina è l’America del XXI secolo. Un paese d’infinite opportunità, dove spassarsela alla grande. Almeno fino alla prossima crisi.