Stracquadanio, una storia del presente. Essay [ITA]

Nazione Indiana


Erotic capital under Italy’s Silvio Berlusconi’s hold on power.

This essay is meant to discuss what I referred to as “an embodiment of erotic capital” within the context of Berlusconi’s sex scandals. I started off analyzing bodies’ visual representation in two documentaries, Videocracy by Erik Gandini and Il Corpo delle Donne (Women’s Bodies) by Lorella Zanardi. My intent was to chart how the body’s erotic power has been subjectively appropriated by young men and women as an economic means to their liberation. The result is peculiar encroachment of capitalist social relations into vital areas hitherto excluded from the regime of accumulation towards a new regime of self-exploitation wherein questions of freedom and individual liberation become ambiguous.


Non se avete mai prestato attenzione a come certi fenomeni colpiscano la mente quando li si incontra per la prima volta per poi perdere il proprio impatto emotivo quando gli stessi fenomeni tendono a ripresentarsi con una certa frequenza.

Ricordo che giovanissimo ero appena arrivato a Roma e vidi un uomo per strada, con un moncherino al posto del braccio e una gamba amputata, che chiedeva l’elemosina. Rimasi alcuni minuti a fissarlo, da lontano, incapace di qualsiasi reazione di fronte a quell’immagine. Era insostenibile non solo la sua presenza – il fatto che egli potesse davvero esistere – ma ciò che mi inquietava davvero era che egli potesse alzare lo sguardo su di me e chiedermi qualcosa, qualsiasi cosa. Dovetti cambiare strada quel giorno.

Successivamente l’ho incontrato di nuovo, quell’uomo, e poi ancora. Oggi, quando le nostre strade si incrociano, non cambio più strada. Piuttosto lo guardo nella sua interezza e poi nei suoi pezzi (il moncherino, la gamba mancante), pensando soltanto a quanto sia multiforme e strana la vita degli esseri umani su questa terra.

L’immunizzazione dalle immagini dolorose del passato – o anche del presente – è una reazione naturale della nostra mente, utile a difenderci da una continua ricaduta in traumi che non ci permetterebbero di vivere. Tuttavia il confine tra una “visione senza sguardo” e una utile difesa da uno sguardo troppo traumatico è davvero sottile. È facile diventare indifferenti a tutto, incapaci di empatizzare, di indignarci e di reagire. D’altronde in una società di massa e mediatizzata come la nostra, tale problema si presenta in termini cubitali. La posta in gioco è l’etica singolare e collettiva di un popolo, la sua stessa esistenza nel mondo. Se diventiamo incapaci di ascoltare e di guardare perché ipertrofizzati da un immaginario che ci assorbe completamente nei suoi gangli, cosa diventeremo?


Glosse sulle macerie del contemporaneo italiano

Al tempo dello scandalo di Palazzo Grazioli, dell’ affaire D’Addario e di Noemi Letizia ci fu un vero sussulto in Italia nella pubblica opinione, specialmente femminile, che si mosse per reagire alle immagini di violenza mediatica e politica che si stavano solidificando nell’immaginario culturale italiano. Ci fu un onesto e trasversale disgusto che attraversò una parte della nostra società. Uno dei migliori risultati che l’offensiva femminile riuscì ad attestare allora fu il documentario-saggio, Il corpo delle donne, di Lorella Zanardo e Marco Malfi Chindemi. Poco tempo dopo uscì nelle sale il film di Erik Gandini Videocracy che rappresentò il controcampo ideale del lavoro della Zanardo, nonché un amplificatore dei suoi contenuti.

Da un punto di vista estetico entrambi i lavori sembravano la giustapposizione di differenti puntate di Blob – e questo, detto per inciso – dovrebbe far riflettere su cosa significa rappresentare la ‘realtà’ in un società mediatizzata come la nostra.

Ultimamente le affermazioni del deputato della Repubblica Giorgio Clelio Stracquadanio sono arrivate a colpire la nostra mente nella forma non della novità, bensì in quella della ripetizione. Il messaggio che era soltanto alluso ed implicito nelle vicende che hanno coinvolto il presidente del consiglio (prostituitevi se volete avere successo), è ritornato sotto forma di un enunciato chiaro ed esplicito, nelle parole di Stracquadanio stesso. La ridondanza, la ripetizione, si è fatta espressione e verità.


Fabbricare corpi, ovvero come si diventa l’immagine che sei

La borghesia […] ha lacerato senza pietà i variopinti legami che nella società feudale avvincevano l’uomo ai suoi superiori naturali e non ha lasciato tra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse lo spietato «pagamento in contanti». Essa ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i santi fremiti dell’esaltazione religiosa, dell’entusiasmo cavalleresco della sentimentalità piccolo-borghese

Karl Marx, Frederich Engels

Torniamo su Videocracy per analizzare come funziona questa produzione di verità, chi ne sono i produttori e come tale verità modelli la società, strutturandone le relazioni umane, sociali, politiche e culturali.

Videocracy si apre con la storia di un giovane operaio bresciano che cerca ostinatamente di rendersi appetibile al mercato televisivo disciplinando il proprio corpo e lavorando sulla propria immagine. La finalità dell’operaio in questione è la creazione di una sorta di cyborg che materializzi in se stesso la fusione di due note figure dello show businessJean Claude Van Damme e Ricky Martin. Tutto ciò potrebbe suonare risibile, se non fosse invece tragico. Ma intendere questo singolo caso come un’eccezione periferica sarebbe miope. L’immaginario dentro cui si muove tale mentalità è continuamente sostenuta da tutti i segnali culturali che ci circondano. L’operaio(ma è un discorso estensibile a molte altre categorie oggigiorno), scriveva Guy Debord,

lavato dal disprezzo totale che è chiaramente espresso da tutte le modalità di organizzazione e sorveglianza della produzione, si ritrova ogni giorno al di fuori di essa trattato apparentemente come una persona grande, con cortesia premurosa, sotto il travestimento del consumatore(2).

Quello che correttamente Debord chiama «l’umanesimo della merce» ingloba in sé gli svaghi e la vita del lavoratore come un fatto normale. Ed un fatto ordinario perché è la realtà intera, nei suoi minimi aspetti, a confermare che tutto è merce, tutto e tutti hanno un prezzo, ogni singola cosa, materiale o immateriale, si può vendere, comprare, scambiare – specialmente i corpi e le immagini dei corpi stessi.

Insomma non è tanto una questione morale, quanto di economia politica. Tendenzialmente il reale tende sempre a diventare razionale quando il primo risulta immodificabile.

Il nuovo regime del commercio e dello scambio capitalistico ha la sua punta produttiva nei mass-media, ovvero nel cinema, nella televisione e nei media diffusi (internet, I-Pod, tv on demand, videotelefoni etc.). Le nuove «terre vergini» da colonizzare per plasmare nuovi bisogni sono la nostra mente, l’immaginario, i(bi-)sogni. Berlusconi ha forse il solo merito di aver importato ed adattato il modello globale all’Italia. L’anomalia, come si usa dire, è che Berlusconi, a differenza di Ruper Murdoch o Bill Gates, è il primo ministro dell’Italia mentre i due sopra menzionati, sono ‘solo’ i possessori di immensi imperi tecnologici e network che si estendono per tutto il pianeta.

Non voglio sottacere le conseguenze politiche che perforano il diritto e minano il piano democratico di una società civile. Piuttosto vorrei, se ci riesco, tratteggiare una quadro sinottico della situazione in cui viviamo.

Fa specie che oggi giorno la prostituzione sia divenuto l’unico ascensore sociale, specialmente in Italia, per raggiungere un determinato stato di benessere. Preciso che quando parlo di prostituzione intendo sia quella di carattere materiale (si vende il proprio corpo per avere qualcosa in cambio), che l’altra, di carattere ‘simulacrale’ (si vende UNA immagine del proprio corpo per avere qualcosa in cambio).

Possiamo davvero indicare in Berlusconi l’origine della situazione in cui ci troviamo? Saremmo ipocriti nel farlo.

Sono numerosi i movimenti convergenti, nelle società complesse e nei sistemi sociali occidentali, ad aver portato a questa ‘congiura della realtà’ che appare cospirare da ogni lato contro il rispetto dell’essere umano. Ci vengono nuovamente in aiuto delle parole scritte più di cento anni fa, ma che suonano così reali ai nostri giorni: «La borghesia […] ha fatto della dignità personale un semplice valore di scambio»(3). Non si scopre proprio nulla di nuovo insomma. Basta guardare al “Nostro” operaio bresciano, a tutte le dame di corte che svolazzano in abiti succinti in tv o nei palazzi di potere. Ma di nuovo, non facciamone una questione morale. Stiamo parlando di lavoro, domanda e offerta. That’s it.

Lorella Zanardo cercando di descrivere l’antropologia dei “tipi” televisivi, ha parlato del potenziale di falsa emancipazione che i media rappresentano per molti giovani. Andrea Inglese, rispondendo allo stesso proposito su NazioneIndiana, ha descritto questa “nuova umanità”, come eroi tragici che falliscono proprio cercando la strada della propria salvezza.

Non possiamo che trovarci d’accordo con loro su un piano teorico generale. Ma qui si fugge il problema chiave, materiale direi: i media, essendo il centro d’eccellenza della produzione capitalistica attuale, sono davvero forieri di ricchezza per chi vi entra! E lo sono materialmente, distribuendo danaro e collaterali (ovvero notorietà e successo in tutti i campi. Ve lo ricordate, a proposito, il semi-analfabeta, evasore, pilota-di-moto munificato con una laurea honoris causae da una prestigiosa università italiana?).

Le nuove fabbriche dei media esigono a chi vi lavora, al salariato, la «sussunzione» totale di sé, non solo del proprio tempo e lavoro, ma richiedono che il corpo intero, ovvero la sua immagine-simulacro, venga messo al lavoro. Il “contratto” tra le parti implica anche la promessa ad identificarsi a vita con siffatta immagine-perfezione-verità, senza mai smentirla, pena il fallimento. Invero, bisogna alienare anche e soprattutto la mente per rendersi disponibili al rito sacrificale del processo capitalistico.

A tutto questo non dobbiamo arrivarci, ci siamo già dentro, e Videocracy ce lo (di-)mostra brutalmente, portando alla luce una violenza che non è nelle immagini ma, come scriveva Deleuze, «delle immagini» del film.

Come reagisce la cosiddetta società civile a un tale abominio? Guardiamo a cosa è disposta una tranquilla comunità di provincia per entrare a pieno diritto nella “modernità”: immolare sul patibolo televisivo le proprie figlie appena maggiorenni, esponendole allo sguardo panottico di un mondo che si fa teatro di pornografia. A tale spettacolo gli uomini (i maschi) vi assistono con la bocca semiaperta, inumidendo, di tanto in tanto, gli angoli della bocca inariditi dalla calo di salivazione.

I corpi si vendono così, hanno bisogno di essere ipostatizzati nell’empireo delle cose perfette, e noi che ne siamo solo una volgare riproduzione dobbiamo sottometterci, altrimenti finiremo per essere dei marginali.

Qui ci torna utile la definizione di “fascismo estetico” coniata da Andrea Inglese.

Chi conosce anche lontanamente l’universo dei media sa quali regole ferree e inderogabili reggono quel mondo. A questo servono i guardiani delle porta strettaLele Mora ad esempio, che cercano le «potenzialità» dei corpi per uniformarle al modello unico che ne permetta una più semplice circolazione. Si scambiano i corpi come le monete, l’importante è che siano tutte dello stesso conio. Fabrizio Corona, segnatamente, è solo il più coerente assertore di una logica di sistema che oggi impera quasi incontrastata. Egli sta all’attuale stato di cose come il marchese De Sade stava al kantismo e alla Rivoluzione Francese. Ovvero, egli non è l’eccezione al sistema, l’elemento sfuggito al controllo, il reo criminale, tutt’altro. Egli è l’eccesso prodotto direttamente e automaticamente dalla struttura a cui appartiene. A Corona non va addebitata nessuna accusa morale, piuttosto gli va accreditato il merito di aver esplorato magistralmente la perversione del sistema mediatico e culturale del nostro paese. La censura perpetratagli contro serve solo a fornire un capro espiatorio che permetta al sistema di continuare a funzionare come prima. In attesa della prossima “crisi”.

La sfera di tale enorme mercato mira ad espandersi continuamente e la società civile vi è inclusa a piene mani. Per questo negrifroci\ezingari sono persone che per loro natura risultano sovversive a questo sistematico UNI-verso. Il meccanismo integrato tra Stato società civile e ‘nuove fabbriche mediatiche’ unisce da un lato una specifica modalità di produzione e valorizzazione (la mercificazione delle immagini e di corpi) e, dall’altro, una cultura che rende fertile la possibilità di modellare soggettività che, attraverso l’emergere di bisogni eterodiretti, legittimano la sovranità della Videocrazia.

Oggi, ad esempio, la ‘bella presenza’ è un must in moltissimi settori e aziende che devono vendere una “bella” immagine di sé. Lavorare in qualsiasi locale d’intrattenimento, un pub, una discoteca, un studio di architetti, o anche in una boutique,  senza essere ‘belle’ o ‘belli’ è divenuto impossibile.

Questa violenza intrinseca alla realtà stessa è il ‘fascismo estetico’, che è più forte di qualunque appello all’etica pubblica o al ritorno alla vecchia e cara morale; tutti appelli legittimi, ragionevoli, ma che cozzano contro un sentire quotidiano difficile da sovvertire.

Una libertà ottativa

Nessuno sa ancora ciò che può un corpo

Baruch Spinoza

Una domanda frequente circola nei discorsi attorno al rapporto corpo-media: si può distinguere tra coloro che consapevolmente accettano di far parte del gioco di potere mediatico e chi invece crede fanaticamente nel miracolo televisivo e vi si assoggetta ‘senza se e senza ma’?

Secondo le regole classiche del mercato, perché il lavoro possa essere scambiato liberamente, esso deve essere pari ad una merce qualsiasi (la cosiddetta forza-lavoro). Se, come abbiamo cercato di dimostrare, è il corpo a diventare base dello scambio mercantile, esso può e deve essere scambiato secondo questa logica, liberamente. D’altronde vi è sempre una relazione asimmetrica tra chi offre e chi cerca lavoro (quest’ultimo deve pur mangiare, s’intende; mentre l’altro può scegliere la sua forza-lavoro nell’esercito degli inoccupati).

Teoricamente saremmo tutti liberi di cercare il lavoro che meglio soddisfa le nostre aspirazioni, perché dovremmo poter vendere liberamente la nostra forza-lavoro. Ma ciò accade davvero raramente, per classi privilegiate della società, ed è tanto meno valido per un mercato totalmente deregolamentato com’è quello dei media, dove non ci sono istituti di garanzia per chi vi lavora. È talmente evidente la disparità di potere tra Lele Mora e l’operaio bresciano di Videocracy, che parlare di libera scelta fa sorridere. Allorché si sceglie di «sussumere» al processo di valorizzazione il proprio corpo – carne e mente – tutto il resto è conseguente. La pianificazione dispotica di questo mercato non lascia altra scelta che la genuflessione ad una ‘servitudine volontaria’ che prevede un totale sacrificio di sé, previa oggettivazione della propria coscienza e dei propri sogni dentro l’iperuranio catodico, foriero di tutti i desideri di emancipazione più arditi e concreti.

Dire (e ripetere, come fa il deputato Stracquadanio) che il corpo può essere usato in forma di oggetto di scambio, come merce tra le merci, non ha solo un suo grave peso morale, come è ovvio. Laddove le parole di Stracquadanio sembrano infrangere una norma (è immorale doversi vendere, è “sbagliata” la prostituzione, ecc), tale affermazione, invece, deve la sua genesi al contesto generale in cui ci troviamo a vivere e finalizza una precisa strategia “culturale”. Se tutto quello che abbiamo detto precedentemente non fosse reale ciò che Stracquadanio ha detto non avrebbe potuto essere nemmeno pensato. Chiariamo: la prostituzione è un mestiere antichissimo e il potere ha sempre intrattenuto relazioni stabili con essa, ma tutto ciò, un tempo, avveniva all’ombra di alcove discrete; anzi, a quei tempi, quando la Chiesa esercitava una certa influenza sulle coscienze degli italiani, l’incontinenza sessuale andava pubblicamente censurata, anche laddove fosse invece indefessamente perpetrata.

Perché allora oggi si può dare la stura ad un comportamento moralmente abietto in maniera così plateale?  È chiaro che qualcosa è cambiato nell’etica pubblica così come nelle condotte individuali. C’è stato quel «mutamento antropologico» del popolo italiano su cui ha tanto insistito Pier Paolo Pasolini negli ultimi hanno della sua vita? Ciò che il fascismo di Mussolini non è stato mai capace di fare – trasformare gli italiani in marionette del potere – è invece stato portato a termine dalla «società dei consumi»? Credo che ognuno possa giudicare da sé la verità di tali previsioni.

Quello che appare chiaro è che il nostro humus culturale è microfisicamente fecondo perché un pensiero del genere possa essere concepito. Lo sfondo su cui si stagliano le parole del “nostro” deputato dimostrano che è già stata strappata via anche solo la parvenza della vecchia morale che, proprio perché depravata fino all’osso di ipocrisia, formava, fino a qualche tempo, il collante del legame sociale.

Le affermazioni di codesto, seppur minuto, menestrello di corte, andrebbero prese davvero sul serio. In quelle parole si pone una sfida strategica: colpire con l’atto comunicativo la sensibilità mediatica e penetrare la mentalità collettiva.

Giacché oggi “esiste” (all’attenzione del mondo politico, sociale, giornalistico, ecc) solo ciò che appare, la presenza di un messaggio così chiaro nel circuito dei discorsi collettivi serve e legittimare un pensiero ed un modus operandi. L’atto linguistico di Stracquadanio ha un valore performativo in un’epoca in cui i media modellano individui e realtà; esso enuncia ciò che si fa e che si può fare. Tale messaggio ha la capacità di circolare nelle pratiche quotidiane e nei palazzi di potere, ma per poter essere definitivamente dichiarato reale, deve riceve il sigillo di veridicità dai media, per poi tornare ad appurare la propria capacità formativa nei corpi reali.

Dopo l’affaire D’Addario, le rivelazioni su Noemi Letizia, le immagini di Palazzo Grazioli e Villa Certosa, riaffermare verbalmente che è legittimo usare i corpi come prodotto e strumento di scambio ha un senso preciso: sancire un forma di relazione stabile e autoritario tra corpo (specialmente, ma non esclusivamente, femminile) e potere. La ridondanza del messaggio di Stracquadanio mette in luce una cinghia di trasmissione comunicativa che è puro segno di subordinazione e comando.

La verifica che informazione e spettacolo, media e potere, comunicazione ed economia sono legati assieme senza soluzione di continuità è presto fatta. Resta da approntare una resistenza.

published on the online magazine Nazione Indiana on the 9-9-2010


(2) G. Debord, La società dello spettacolo, Baldini&Castaldi Dalai Editore, 2008, p.67.

(3)  K. Marx – Engels, Manifesto del Partito Comunista, Einaudi, 2005 p. 27 corsivo mio

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